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Teatro Povero Pienza
CINEMA E TEATRI
RECAPITI
Teatro Povero
Piazza Nuova, 1 53026 Monticchiello (SI)
Telefono 0578 755118
Sito web: http://www.teatropovero.it/
Biglietto da visita (vCard)
Il progetto del Teatro Povero nasce e si sviluppa a Monticchiello molto prima della precisa data del suo inizio. L’esperienza teatrale sembra essere una componente strettamente legata alla vita ed alla storia della comunità fin dal passato, come confermano numerose testimonianze.
Le prime rappresentazioni drammatiche infatti risentono di una primitiva vocazione alla festa popolare e costituiscono momenti ricreativi che accompagnano la vita del paese.In seguito, quando si comprende che attraverso questo complesso “rituale” il paese può vincere il rischio dell’isolamento e della disomogeneità il teatro assume per Monticchiello un significato nuovo ed importante.
L’impegno quindi si prepara e matura in un clima di solidarietà civile ed intellettuale. Il teatro diventa un importante sostegno al processo autocritico svolto dalla collettività nel tentativo di riconoscersi e realizzarsi. Così, con la messa in scena dello spettacolo teatrale del 1967, L'Eroina di Monticchiello, la comunità cerca di richiamare l’attenzione in una fase di spopolamento a causa della crisi dell’agricoltura. Il testo viene scritto da Marcello Del Balio, sacerdote poliziano, già animatore del Bruscello.
L’esperienza ha successo. Nel 1968 si decide di parlare della predicazione del Beato Giovanni Colombini a Monticchiello. Don Vasco Neri, allora parroco del paese, raccoglie diverso materiale e ne trae un dramma: Giovanni Colombini, il mercante pazzo.
Pur essendo ben scritte e ben realizzate queste due prime rappresentazioni costituiscono niente di più di un momento di festa, di divertimento, di incontro. Sono due tipici drammi storici recitati da attori in costume senza alcun aggancio alla vita di oggi, ma che hanno il merito di ridestare nei monticchiellesi l’amore per il teatro.
Nel 1969 ricorre l’anniversario di un episodio della Resistenza; la vittoria “sul campo” di una battaglia partigiana ed una mancata strage dei nazisti a Monticchiello e gli abitanti, volendolo rievocare con uno spettacolo, chiedono la collaborazione del giornalista e scrittore Mario Guidotti.
Guidotti comprende subito l’entusiasmo, la volontà ed il piacere dei monticchiellesi per il teatro. Cerca di rendere critico il modello di lavoro ludico degli abitanti del luogo e capisce che l’azione più efficace è l’approfondimento della realtà socio-culturale del paese stesso. Nel luglio del 1969 il giornalista realizza lo spettacolo Quel 6 aprile del ‘44.
L’esperienza teatrale di Monticchiello si lega così al nome di Mario Guidotti dando origine al sodalizio da cui nascerà il concetto di “autodramma” ed il vero “Teatro Povero”.
Nel 1970 si presenta Noi di Monticchiello che diventa così un’ulteriore verifica della nuova formula drammaturgica. Il discorso storico si concretizza nella rappresentazione di aspetti e problemi degli individui. La trama dello spettacolo non esiste e tutto poggia, scopertamente, sulla necessità di esporre una situazione. Lo spettacolo consiste quindi in uno spaccato di vita borghigiana che propone un approfondimento dei problemi di una comunità depressa e pur protesa disperatamente alla propria affermazione.
Si può parlare di “teatro-verità”, “teatro-vita” scritto più che da un autore, dagli stessi personaggi, cioè dalla gente di Monticchiello che, recitando se stessa (ed ecco allora l’autodramma), testimonia la propria realtà, presentandosi con le sue autentiche situazioni esistenziali e sociali.
È proprio dallo stile con cui vengono realizzati gli spettacoli del ‘69 e del ‘70 che Mario Guidotti trae ispirazione per attribuire il nome di “Teatro Povero” alla esperienza drammaturgica del paese valdorciano.
Dal 1969 al 1979 i testi del teatro di Monticchiello nascono grazie alla mediazione svolta da Mario Guidotti che da una parte raccoglie le idee ed i pareri della comunità e dall’altra vi apporta i frammenti di una realtà più vasta rispetto a quella del borgo. Gli spettacoli, nel corso di questi anni, mantengono intatta la formula dell’autodramma caratterizzato da uno schema drammaturgico ben preciso: la prima parte è ambientata nel passato, la seconda parte nel presente e, nel dibattito conclusivo del terzo atto, si discutono prospettive ed ipotesi future.
Vicende e personaggi del passato vengono rapportati al presente per approfondire la storia attuale e proiettati nel futuro, accostando un frammento storico ad un evento del nostro tempo. La ritualità della scena viene scelta come possibilità di vivere più da vicino i propri problemi, come stimolo ad un ripensamento critico, storico e culturale. È così che il contatto con la realtà presente, attraverso il confronto con il passato, si traduce in presa di coscienza dei problemi.
Il teatro, in questo caso, svolge dunque una “funzione sociale” che è quella di provocare in una collettività un continuo esame di coscienza, di rinsaldarne le radici mantenendo il contatto con la realtà del momento.
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